Florido Pontani


Cresciuto in un piccolo paese del Lazio, mi arruolo in Polizia nel 1964, entrando in contatto con un mondo in profonda trasformazione. Gli anni Sessanta e Settanta, con le loro fermentazioni culturali e politiche, diventano il terreno fertile per la mia produzione artistica. La contraddizione tra la mia natura anarchica e i rigidi dettami della divisa mi spinge a esprimere la mia interiorità attraverso l'arte, trovando in essa uno spazio di libertà e di riflessione.

Parallelamente alle turbolenze sociali, mi appassiono a temi futuri come la clonazione e l'intelligenza artificiale, ispirandomi a scrittori come Orwell e Huxley. Le mie opere anticipano dibattiti che diventeranno centrali solo decenni dopo, rivelando una sensibilità unica per le sfide del futuro. La mia curiosità per l'ignoto mi spinge verso una sperimentazione continua, con l'obiettivo di esplorare le potenzialità dell'umanità.

La tela diventa per me un campo di battaglia dove sperimentare. Oltre ai tradizionali colori ad olio e acquerello, utilizzo materiali poveri come la carta, la sabbia e oggetti trovati, trasformandoli in elementi espressivi. Anche le cornici diventano parte integrante dell'opera, costruite con legno, gesso o altri materiali inusuali. Questa scelta mi permette di creare un dialogo tra l'opera e lo spazio che la circonda, invitando lo spettatore a una lettura multisensoriale

L'arte, per me, è un'esperienza totalizzante. È il luogo in cui l'uomo, connesso alla natura e alla società, può esprimere la propria essenza più profonda. Ispirandomi a Leonardo, cerco di rappresentare l'individuo come un essere complesso, in continua evoluzione, che lotta per affermare la propria libertà e dignità.

Il sentimentalismo, per me, è una lente attraverso cui osservo e interpreto il mondo. Ogni opera d'arte è impregnata di emozioni e sentimenti, che diventano il mio modo di conoscere me stesso e gli altri. È un modo di dare forma alle mie esperienze più intime, trasformandole in qualcosa di universale.

La radice del mio approccio artistico risiede nel profondo contrasto tra la mia infanzia bucolica e la realtà urbana e conflittuale in cui mi sono trovato a vivere come poliziotto negli anni Sessanta e Settanta. La rigidità della vita militare e le mie inclinazioni anarchiche hanno creato in me una profonda lacerazione interiore. L'arte è diventata la mia terapia, il luogo dove ho potuto dare forma a questi conflitti interiori, trasformando la sofferenza in creazione. Dipingere mi ha permesso di trovare un equilibrio, di conciliare le diverse parti di me stesso e di dare un senso al caos interiore.